Storia del cinema
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La
cinematografia, nella sua storia, ha attraversato diverse fasi e periodi, che l'hanno portato dai primi rudimentali "esperimenti" dei
fratelli Lumière ai moderni
film digitali, ricchi di
effetti speciali realizzati con la
grafica computerizzata.
Precinema
La cinematografia intesa come proiezione di immagini in movimento ha
numerosi antenati, che risalgono fino al mondo antico. In oriente
esisteva la rappresentazione delle
ombre cinesi, mentre in Europa abbiamo studi ottici sulle proiezioni tramite lenti fin dal
1490, con la
camera oscura leonardiana. Fu però dal
XVII secolo che nacque l'antenato più prossimo allo spettacolo cinematografico, la
lanterna magica,
che proiettava su una parete di una stanza buia immagini dipinte su
vetro e illuminate da una candela dentro una scatola chiusa, tramite un
foro con una lente. Simile, ma opposto per modo di fruizione, era il
Mondo nuovo,
una scatola chiusa illuminata all'interno dove però si doveva guardare
all'interno per vedere le immagini illuminate: tipico degli ambulanti
tra XVIII e XIX secolo, rendeva possibile una fruizione anche di giorno,
anche all'aperto.
Dopo la nascita della
fotografia
si iniziò a studiare la riproduzione del movimento in scatti
consecutivi. Sfruttando i principi dei dispositivi ottici del passato,
si iniziarono a cercare modi di proiettare fotografie in successione, in
modo da ricreare un'illusione di movimento estremamente realistica: tra
le centinaia di esperimenti in tutto il mondo, ebbero buon fine il
Kinetoscopio di
Thomas Edison (ispirato al "mondo nuovo") e il
Cinematografo dei
Fratelli Lumière (ispirato alla lanterna magica).
I fratelli Lumière e Thomas Edison
L'invenzione della
pellicola cinematografica risale al
1885 ad opera di
George Eastman, mentre la prima ripresa cinematografica è ritenuta essere
Roundhay Garden Scene,
cortometraggio di 2 secondi, realizzato il 14 ottobre
1888 da
Louis Aimé Augustin Le Prince.
La cinematografia intesa come la proiezione in sala di una pellicola
stampata, di fronte ad un pubblico pagante, è nato invece il 28 dicembre
1895, grazie ad un'invenzione dei fratelli
Louis e Auguste Lumière, i quali mostrarono per la prima volta, al pubblico del Gran Cafè del Boulevard des Capucines a
Parigi, un apparecchio da loro brevettato, chiamato
cinématographe.Tale apparecchio era in grado di proiettare su uno schermo bianco una
sequenza di immagini distinte, impresse su una pellicola stampata con
un processo fotografico, in modo da creare l'effetto del movimento.
Thomas Edison nel
1889 realizzò una
cinepresa (detta Kinetograph) ed una macchina da visione (
Kinetoscopio): la prima era destinata a scattare in rapida successione una serie di fotografie su una pellicola
35mm;
la seconda consentiva ad un solo spettatore per volta di osservare,
tramite un visore, l'alternanza delle immagini impresse sulla pellicola.
Ai fratelli Lumière si deve comunque l'idea di proiettare la pellicola,
così da consentire la visione dello spettacolo ad una moltitudine di
spettatori.Essi non intuirono il potenziale di questo strumento come mezzo per
fare spettacolo, considerandolo esclusivamente a fini documentaristici,
senza per questo sminuirne l'importanza, tanto che si rifiutarono di
vendere le loro macchine, limitandosi a darle in locazione. Ciò
determinò la nascita di molte imitazioni. Nello stesso periodo, Edison
(negli
USA)
iniziò un'aspra battaglia giudiziaria per impedire l'uso, sul
territorio americano, degli apparecchi francesi, rivendicando il diritto
esclusivo all'uso dell'invenzione.Dopo circa 500 cause in tribunale, il mercato sarà comunque liberalizzato. Nel
1900 i fratelli Lumière cedettero i diritti di sfruttamento della loro invenzione a
Charles Pathé. Il cinematografo si diffuse così immediatamente in
Europa e poi nel resto del mondo.Nel frattempo il cinema registrò alcuni clamorosi successi di pubblico:
Assalto al treno (The Great Train Robbery) (
1903) dell'americano
Edwin Porter spopolò in tutti gli
Stati Uniti, mentre il
Viaggio nella luna (
1902) del francese
Georges Méliès, padre del cinema di finzione, ebbe un successo planetario (compresi i primi problemi con la
pirateria). Vennero sperimentati i primi
effetti speciali prettamente "cinematografici", cioè i trucchi di montaggio (da
Méliès, che faceva apparire e sparire personaggi, oggetti e sfondi), le sovrimpressioni (dai registi della
scuola di Brighton, ripreso dalla fotografia), lo scatto singolo (dallo spagnolo
Segundo de Chomón, per animare i semplici oggetti), ecc. Si delinearono inoltre le prime tecniche rudimentali del linguaggio cinematografico: la
soggettiva (
George Albert Smith), il montaggio lineare (
James Williamson), il
raccordo sull'asse, i movimenti di camera.
Il cinema narrativo
Il cinema delle origini, detto "
delle attrazioni mostrative",
serviva per mostrare una storia che veniva necessariamente spiegata da
un narratore o imbonitore presente in sala. Inoltre le storie erano
spesso disorganizzate, anarchiche, più interessate a mostrare il
movimento e gli effetti speciali che a narrare qualcosa. Solo il
cinema inglese, legato alla tradizione del
romanzo vittoriano, era più accurato nelle storie narrate, prive di salti temporali e di grosse incongruenze.La nascita di un cinema che raccontasse storie da solo è strettamente
legata ai cambiamenti sociali dei primi anni del Novecento: verso il
1906 il cinema viveva la sua prima crisi, per il calo di interesse del
pubblico. La riscossa però fu possibile grazie alla creazione di grandi
sale di proiezione a prezzi molto contenuti rivolte alla classe operaia,
come svago economico e divertente: nacquero i "
nickelodeon",
dove era impensabile usare una persona per spiegare le vicende del
film, per questo i film iniziarono ad essere intelligibili
automaticamente, con contenuti più semplici ed espliciti e con le prime
didascalie.
Nascita di una nazione (
1915) dell'americano
David W. Griffith
è da molti considerato il primo vero film in senso moderno in quanto
tenta di codificare una nuova "grammatica". Secondo altri critici
(soprattutto europei) è
Cabiria, Colossal italiano del
1914 diretto da
Giovanni Pastrone
ad essere considerato il punto più alto di quegli anni e un modello di
narrazione (nonostante le aspre critiche, anche fondate, alle didascalie
di
Gabriele D'Annunzio),
fotografia, scenografia, effetti speciali e durata. D'altra parte anche
la definizione stessa di Cinema Narrativo va a sovrapporsi in questo e
moltri altri casi alle definizioni (su cui ancora si dibatte) di film
storico totale (Nascita di una nazione), storico
Quo Vadis, in costume (Cabiria).Va in quegli anni anche a delinearsi una corrente, fino alla fine del
cinema muto, che vede nell'inserimento delle didascalie una
"sporcatura". L'arte del cinema narrativo pura è spesso rapportata al
numero di inserti testuali; meno sono, più il film è intelligibile e ben
costruito. In questo caso sono da considerare come capolavori assoluti i
film successivi soprattutto espressionisti tedeschi e russi come
Aurora,
La lettera,
La madre.
Il cinema muto hollywoodiano
Con i primi grandi successi del cinema muto, fu presto chiaro che la
produzione di film poteva essere un affare favoloso, tale da
giustificare anche l'investimento di forti somme di denaro: un film che
ha successo ripaga di molte volte i costi per crearlo e distribuirlo.
D'altra parte sono soldi buttati se non incontra i gusti del pubblico.Quando fu chiaro ai
produttori che la gente si affezionava agli
attori
che vedeva sullo schermo, da una parte favorirono questo attaccamento
promuovendo pubblicamente gli artisti che avevano dimostrato di piacere
agli spettatori, per renderli ancora più popolari, e dall'altra
iniziarono a pagare loro una parte consistente di questi profitti pur di
ingaggiarli anche per i film successivi: gli attori cinematografici di
successo iniziarono a guadagnare cifre inaudite e nacquero così i primi
divi, le prime star.Gli editori radiofonici e giornalistici, dal canto loro, furono ben
felici di poter attingere ad argomenti nuovi e di sicuro interesse per i
loro lettori: il processo si alimentò da solo e diede inizio
all'insieme di attività di promozione detto
star system, che non veicolò soltanto i singoli artisti ma anche il loro elevato tenore di vita.Il fatto che un attore cinematografico non dovesse avere (in
apparenza) altre doti che piacere al pubblico, e che la nascente
industria cinematografica cercasse costantemente nuovi attori e pagasse
loro delle vere fortune (ma solo a chi sfondava), e la fama enorme di
cui godevano che poteva arrivare all'idolatria (uno su tutti:
Rodolfo Valentino),
rese il mestiere di attore del cinema un sogno, un miraggio che catturò
la fantasia delle masse: tutti volevano diventare attori.
Le avanguardie europee
Mentre negli Stati Uniti si sviluppava un cinema narrativo classico,
destinato a un pubblico vasto, in Europa le avanguardie artistiche
svilupparono tutta una serie di film sperimentali che, sebbene limitati
nel numero e nella reale diffusione, furono molto importanti per il
cinema successivo. Tra gli autori più importanti ci furono l'italiano
Anton Giulio Bragaglia, gli spagnoli
Luis Buñuel e
Salvador Dalí, i russi
Dziga Vertov e lo stesso
Ejzenstein, i francesi
René Clair e
Fernand Léger, il danese
Carl Theodor Dreyer.Un discorso a parte merita la
Germania,
dove la presenza di alcuni tra i migliori registi, attori,
sceneggiatori e fotografi dell'epoca permise la creazione di opere
innovative ma anche apprezzate dal pubblico, oltre che capisaldi del
cinema mondiale. I tre filoni principali in Germania furono l'
espressionismo, il
Kammerspiel e la
Nuova oggettività. Tra i registi più famosi vanno segnalati almeno
Friedrich Wilhelm Murnau (
Nosferatu il vampiro,
1922),
Georg Wilhelm Pabst e
Fritz Lang (
Metropolis,
1927).
Introduzione del sonoro
La possibilità di sincronizzare dei suoni alle immagini è vecchia come il cinema stesso: lo stesso
Thomas Edison aveva brevettato una maniera per aggiungere il sonoro alle sue brevi pellicole (
Dickson Experimental Sound Film,
1895).
Ma quando i vari esperimenti raggiunsero un livello qualitativo
accettabile, ormai gli studios e la distribuzione nelle sale erano
organizzati al meglio per la produzione muta, per cui l'avvento del
sonoro venne giudicato non necessario e a lungo rimandato. Lo stato
delle cose cambiò di colpo quando la
Warner, sull'orlo della bancarotta, giudicò di non avere ormai niente da perdere e rischiò, lanciando il primo film sonoro. Fu
Il cantante di jazz nel
1927,
e fu un successo ben oltre le aspettative: nel giro di un paio di anni
la nuova tecnologia si impose prima a tutte le altre case di produzione
americane, e poi a quelle del resto del mondo. La tecnica venne
perfezionata ulteriormente nel
1930, creando due nuove attività, il
doppiaggio e la
sonorizzazione.
Questa novità provocò un terremoto nel mondo del cinema: nacquero
nuovi contenuti adatti a valorizzare il sonoro (come i film musicali) e
nuove tecniche (mancando ormai il sipario della didascalia). Con il
sonoro e la musica, la recitazione teatrale a cui si affidavano gli
attori del cinema muto risultava esagerata e ridicola: così, dopo alcuni
fiaschi le stelle del cinema muto scomparvero in massa dalle scene, e
salì alla ribalta una intera nuova generazione di interpreti, dotati di
voci più gradevoli e di una tecnica di recitazione più adatta al nuovo
cinema.
Il cinema classico
Dal
1917
in poi, si impone il concetto di film come racconto, come romanzo
visivo: lo spettatore viene portato al centro del film e vi partecipa
con l'immaginazione, esattamente nello stesso modo in cui, leggendo un
libro, si ricostruiscono con l'immaginazione tutti i dettagli non
scritti delle vicende narrate. E come nella narrativa, iniziano a
emergere anche nel cinema dei
generi ben precisi: l'avventura, il giallo, la commedia, etc., tutti con delle regole stilistiche ben precise da seguire.
Questo salto qualitativo è reso possibile dall'evolversi delle tecniche del
montaggio,
le quali, con il montaggio alternato, il montaggio analitico ed il
montaggio contiguo, permettono di saltare da una scena all'altra e da un
punto di vista all'altro, senza che il pubblico resti disorientato dal
cambio d'
inquadratura,
rendendo quindi le storie molto più avvincenti, e diminuendo i momenti
di pausa narrativa. Tutto questo senza introdurre salti troppo bruschi
fra le scene. Il cinema americano capisce subito quanto siano importanti
la dinamicità e la rapidità, e già verso la fine degli
anni trenta un film americano contiene in media 600-700
inquadrature, circa il triplo della media di venti anni prima.
Tutte queste Regole del Buon montaggio verranno prescritte nel
Codice Hays, codici necessari per l'accettazione delle pellicole da parte degli studios.Intanto il cinema affermava sempre più la sua importanza come mezzo di comunicazione di massa. Persino
papa Pio XI volle intervenire nel dibattito sull'utilità del cinema con l'
enciclica Vigilanti cura del 29 giugno
1936,
sostenendo che gli spettacoli cinematografici non devono «servire
soltanto a passare il tempo», ma «possono e debbono illuminare gli
spettatori e positivamente indirizzarli al bene».
[1]
Il cinema e Hollywood
Nella calda e assolata
Los Angeles, in
California, verso la fine degli
anni dieci si riuniscono affaristi desiderosi di investire nel
cinema e registi che alla caotica
New York preferiscono il clima mite della cittadina californiana per girare pellicole. Nei primi
anni venti Los Angeles
continua a svilupparsi nel campo industriale e agricolo, e in breve
tempo nella zona si riuniscono una serie di case di produzioni
cinematografiche, dalla
Universal alla
MGM, e così nasce
Hollywood, e l'area mitica che tutt'oggi la circonda.In breve tempo il
cinema diventa un vero e proprio prodotto commerciale:
attori e
attrici ricoprono le immagini delle riviste e vengono visti dal pubblico quasi come fossero delle divinità (si pensi a
Mary Pickford,
Rodolfo Valentino e
Douglas Fairbanks); registi come
David W. Griffith e
Cecil B. DeMille, alternano prodotti artistici ad altri comandati dagli Studios. E
Charlie Chaplin, indipendente sia come artista che come produttore, realizza le sue comiche prendendosi gioco della
società.
Negli
anni trenta nasce lo
studio system: gli Studios comandano a bacchetta le
star, e pur esaltandone l'immagine (si pensi a
Greta Garbo e
Clark Gable), tendono ad intrappolarli in personaggi stereotipati. Si parlerà del "periodo d'oro del cinema". Intanto generi come la
commedia e il dramma romantico impazzano, ma in seguito alla
Grande depressione si faranno strada generi più realistici e socialmente critici, come il "gangster-movie" e il
noir, genere quest'ultimo sviluppatosi maggiormente durante la
Seconda guerra mondiale. Ma in questo decennio è il
musical scacciapensieri a far da padrone, con
Fred Astaire e
Ginger Rogers che allietano spettatori desiderosi di evasione. Parte verso la fine del decennio inoltre la rivoluzione del
technicolor, ovvero dei film a colori, come il celeberrimo
Via col vento di
Victor Fleming.
Negli
anni quaranta lo
studio system finisce a causa delle
leggi federali che privano gli Studios della proprietà delle
sale cinematografiche, ma durante la
Seconda guerra mondiale essi non smettono di far faville continuando a produrre star e film di grande valore. Attori come
Cary Grant,
James Stewart,
Gary Cooper e
Henry Fonda
diventano in questo periodo veri divi e beniamini del pubblico. Intanto
non si perde mai occasione per esaltare i valori dell'"american way of
life": a questo ci pensano registi idealisti come
Frank Capra, e attori sciovinisti come
John Wayne, indimenticabile nei suoi
western. Nel
1942 viene girato da
Michael Curtiz Casablanca,
uno dei film più importanti e celebri della storia del cinema, che pur
essendo un film romantico, ha saputo affrontare dignitosamente il
problema della guerra, della resistenza partigiana e dell'avanzata
nazista e che ha lanciato nello star system
Humphrey Bogart e
Ingrid Bergman.Nel frattempo però nuovi artisti come
Orson Welles stravolgono il normale modo di fare cinema, e negli
anni cinquanta anche la concezione del "divismo" cambia, come nel caso dei più sanguigni
Marlon Brando e
James Dean,
che portano sullo schermo un modo più verisimile di rappresentare la
realtà. Contemporaneamente esplode, soprattutto grazie a registi quali
Billy Wilder e
George Cukor, la «commedia all'americana», che ha i suoi capisaldi in capolavori come
A qualcuno piace caldo,
Scandalo a Filadelfia e
L'appartamento.
Negli
anni sessanta e
settanta ormai la vecchia
Hollywood non è che un ricordo, e il "New Cinema" si fa strada criticando ipocrisie e pudori della vecchia
America, per opera di registi audaci come
Francis Ford Coppola,
Woody Allen,
Stanley Kubrick e
Martin Scorsese e di attori come
Dustin Hoffman,
Jack Nicholson,
Robert De Niro e
Meryl Streep. È una vera e propria rivoluzione all'interno della "vecchia" Hollywood. Film come
Easy Rider e
Il laureato
girati con budget bassi e che fecero registrare incassi inimmaginabili,
illuminarono anche le major che poco a poco iniziarono a lasciar
perdere le restrizioni stilistiche del
Codice Hays
che imponeva un codice morale rigido al di fuori del quale i film non
venivano prodotti. Semplicemente si resero conto che le nuove
generazioni, contrarie alle politiche americane di perbenismo ed
espansionismo ipocritamente mascherato, volevano sentir parlare
esattamente di quello che era censurato dalla produzione.Negli anni seguenti il cinema come contestazione sarà più una
prerogativa del cinema europeo e dopo gli anni '70 a Hollywood si fa
strada il cinema come puro intrattenimento, fino all'esaltazione del
fantasy di
Incontri ravvicinati del terzo tipo di
Steven Spielberg e
Guerre stellari di
George Lucas . Seppur con un modo diverso di intendere il cinema e le star,
Hollywood continua comunque a regalare sogni ed emozioni.Negli anni ottanta e novanta scende in campo una nuova generazione di talentuosi registi, come
Quentin Tarantino,
Tim Burton e
David Lynch che ha saputo creare film interessanti e innovativi, senza mai dimenticare il passato.
Il cinema e l'Europa
Se in America Hollywood era la capitale del cinema, in
Europa,
in seguito alla Seconda Guerra Mondiale nacquero in molte nazioni
diverse scuole di cinema, ma tutte accomunate dalla voglia di
rappresentare la realtà. Diviene quindi importantissimo il
neorealismo italiano e i suoi registi principali:
Luchino Visconti,
Pietro Germi,
Alessandro Blasetti,
Roberto Rossellini e
Vittorio De Sica. Film come
Roma città aperta,
Sciuscià e
Ladri di biciclette ispirano e affascinano diversi registi nel mondo, come il giapponese
Akira Kurosawa.
Anche dopo il periodo prettamente neorealista, l'Italia ha potuto
vantare una nuova generazione di registi, neorealisti sì, ma più a modo
loro, come
Federico Fellini,
Mario Monicelli,
Ettore Scola,
Dino Risi,
Luigi Comencini.
Diventano importantissimi gli esperimenti di cinema introspettivo di
Marcel Carné, realizzati subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, e poi concretizzati in grandi film dai maestri del cinema introspettivo
Ingmar Bergman e
Michelangelo Antonioni:
la realtà non è più analizzata come qualcosa di oggettivo, tutto
diventa soggettivo ed ambiguo, il ritmo è lento e le scene sono lunghe e
silenziose e i registi si soffermano su particolari prima di allora
trascurati. Il cinema comincia a diventare manifesto del subconscio del
regista e anche forma di personale contestazione.
È tuttavia in
Francia che questo tipo di cinema diventa un genere famoso ed apprezzato in tutto il mondo grazie alla
Nouvelle Vague.
I film cominciano ad essere minimalisti, personalissimi, le
problematiche trattate sono intime e non assolute. I film cominciano a
ruotare intorno ai problemi, agli interrogativi e ai dubbi di giovani
protagonisti e la soggettività diventa un elemento caratterizzante.
Iniziano perciò ad affermarsi alcuni nuovi registi indipendenti, già
agguerriti critici cinematografici, come
François Truffaut con il suo
I quattrocento colpi,
Alain Resnais con
Hiroshima mon amour e
Jean-Luc Godard con
À bout de souffle, che trovarono nel neonato
Festival di Cannes un punto d'incontro e di discussione.Il montaggio è a bella posta discontinuo, sincopato e sovente evita
di tagliare i tempi morti della storia, che dal canto suo tralascia di
spiegare ogni dettaglio di quel che accade. Può capitare che gli attori
guardino direttamente nell'obiettivo della cinepresa, cosa vietatissima
nel cinema classico, come accade regolarmente nel cinema di
Jean-Luc Godard,
Ingmar Bergman o, in tempi più recenti, in
Pulp Fiction di
Quentin Tarantino.Il cinema tedesco è invece molto più figurativo e pittoresco,
introspettivo e con storie talvolta epiche che fuoriescono dal semplice
neoralismo, come ad esempio
Aguirre, furore di Dio di
Werner Herzog.
I registi sembrano afflitti da dolori insanabili e assoluti, che quindi
toccano punte di pessimismo assoluto leopardiano, e con soluzioni
effimere e talvolta inesistenti. È il caso di
Rainer Werner Fassbinder.
Altri registi, invece, pur trattando forti problematiche, proprie e
non, si mostrano più disposti a trovare una soluzione, e anzi girano
film pieni di speranza e velato ottimismo. È questo il caso di registi
come
Wim Wenders e
Werner Herzog. Il film tedesco più importante degli ultimi anni è senz'altro
Le vite degli altri del
2006, amaro e lucido spaccato della Germania Est e dello strapotere del governo comunista.Il cinema dell'est Europa, ha avuto un rapido sviluppo tra anni '20 e '30 soprattutto grazie ai capolavori del russo
Sergej M. Ejzenstejn.
I film di quegli anni davano un'esasperata e continua immagine del
benessere del governo bolscevico, immagine talvolta falsa ed imposta
dalla censura sovietica. Se da un lato Ejzenstejn sforna film sulla
rivoluzione rossa o su personaggi storici russi, dall'altro altri
registi girano film riguardanti il benessere e la felicità delle
famiglie nelle campagne russe o film su imprese compiute da
Stalin.
È solo dopo la Seconda Guerra Mondiale che comincia a nascere una
cinematografia più ampia anche all'interno delle nazioni del
patto di Varsavia.
I film, soprattutto dopo gli anni '60, sono più critici e ribelli e
talvolta sono fortemente censurati dal governo rosso. Registi come il
polacco
Andrzej Wajda sono costantemente promotori di un cinema ribelle e libero dalla censura, che avrà però la piena realizzazione solo dopo il
1989.Dopo anni di censura a causa della dittatura di
Francisco Franco,
ultimamente è emerso il cinema spagnolo, cinema fresco e giovane
disposto ad affrontare ogni tipo di tematica e ad aprirsi verso
prospettive sempre nuove.
Il cinema digitale
Sino ad alcuni anni fa,
cinema e
televisione erano due
media ben distinti: il cinema fondava la sua forza sulla qualità della
pellicola e sulla visione dei
film
in apposite sale dove la proiezione avveniva al buio (favorendo
l'attenzione degli spettatori); la televisione risultava imbattibile per
la sua capacità di rappresentare l'evento contestualmente al suo
verificarsi, pur se la qualità e la definizione delle immagini erano
appena sufficienti per una visione su uno schermo domestico.Lo sviluppo dell'
elettronica ha mutato questo rapporto. Così come già avvenuto in campo musicale, ove il
CD ha soppiantato l'
LP
analogico (ma non del tutto, visto che molti continuano a preferire il
suono dell'LP, giudicato più veritiero in quanto più ricco di frequenze e
dunque dotato di maggiore spazialità sonora), anche nel mondo del
cinema si sta tentando di imporre sistemi interamente digitali di
registrazione-riproduzione.È bene ricordare che un'
immagine
non è altro che una massa di informazioni. E l'informazione, a sua
volta, è qualsiasi oggetto fisico capace di distinguersi, di
differenziarsi, di essere diverso da ciò che gli sta vicino. Nel cinema
tradizionale, ogni singola informazione dell'oggetto da rappresentare è
raccolta in modo analogico: vale a dire che un altro oggetto fisico
modifica il suo stato in modo proporzionale con l'oggetto da
rappresentare. In particolare l'immagine è ottenuta per mezzo di una
emulsione fotosensibile, la quale è una sospensione di minuti cristalli di alogenuri d'
argento -
sali assai sensibili all'effetto della
luce - dispersi in una matrice di gelatina fissata ad un supporto solido.Nel cinema digitale, invece, l'informazione è raccolta da una cifra (in inglese:
digit): dato un certo spazio, si può stabilire che al numero "0" corrisponda il
bianco, ed al numero "1" il
nero.
In questo modo, scomponendo un'immagine in punti, è possibile
trasformarla in una sequenza numerica. È ovvio che maggiore è la
quantità di informazioni numeriche raccolte, maggiore sarà l'accuratezza
dell'immagine ottenuta.La registrazione e riproduzione digitale delle immagini comporta due
ordini di problemi: il primo riguarda la raccolta di tutte le
informazioni necessarie per comporre l'immagine; il secondo attiene alla
gestione di queste informazioni; compito, questo, che compete al
dispositivo incaricato di trasformare le sequenze numeriche in unità
visibili (cd. matrice). Ogni singola unità visibile, che può assumere un
unico stato cromatico, si chiama
pixel (contrazione dell'espressione
picture element).Secondo alcuni studi, l'accuratezza (più nota come
risoluzione) massima di una pellicola negativa
35 mm è pari a 6 milioni di pixel (che si abbassa 4 milioni di pixel per le
distorsioni
introdotte dalle ottiche). Tale misurazione è, tuttavia, da alcuni
criticata, in quanto tale definizione verrebbe valutata secondo un
parametro estraneo all'immagine chimica e sostituita con la
funzione di trasferimento di modulazione
o MTF (Modulation Transfer Function) che può essere applicata non
necessariamente alla pellicola, ma più in generale ad un sistema ottico,
ad esempio il complesso obiettivo-pellicola, e che è una misura della
capacità del sistema di catturare il contrasto dell'immagine.Un'immagine digitale, per consentire di distinguere gli stessi
dettagli esprimibili da una pellicola 35 mm, dovrebbe essere composta da
4 milioni di pixel. Ma la qualità di un'immagine è data anche da altri
fattori, come il
contrasto, la
luminosità, il numero di colori e la loro pastosità, la
gamma dinamica:
ecco per quale ragione la semplice misurazione in pixel dell'immagine
chimica non appare sufficiente ad esprimere tutte le caratteristiche
dell'immagine stessa.Appare chiaro, comunque, che il cinema digitale per eguagliare e
superare il cinema chimico ha bisogno di dispositivi di immagazzinamento
dati (cosiddetto
storage) di eccezionale capienza; e deve,
anche, disporre di matrici che non abbiamo meno di due milioni di pixel.
La registrazione della enorme massa di informazioni contenuta in un
film di circa due ore non costituisce più un problema, grazie alla
capienza dei moderni
hard disk e di supporti ottici come il
DVD, nonché all'impiego degli
algoritmi di compressione, i quali consentono di operare un vero e proprio "sunto" delle informazioni.Gli attuali limiti del cinemadigitale sono invece a monte e a valle
del processo di acquisizione delle immagini. Le telecamere HD (High
Definition) non offrono ancora la stessa risoluzione del negativo
fotografico, hanno una eccessiva
profondità di campo, la
latitudine di posa va da 8 a 11 stop (contro gli 11 - 12 delle emulsioni negative).Per quanto riguarda la proiezione, invece, sorgono altri problemi.
V'è da notare, innanzi tutto, che l'altissima risoluzione del negativo
originale viene perduta durante i vari passaggi (internegativi e stampa
del positivo finale), sì che la risoluzione della copia da stampa non
supera i due milioni di pixel. Con queste premesse gli attuali
videoproiettori con tecnologia
Digital Light Processing
(DLP) dovrebbero poter reggere il confronto con la proiezione meccanica
della pellicola 35 mm. I più sofisticati videoproiettori utilizzano tre
microchip DMD (
Digital Micromirror Device) per il controllo dell'immagine.All'interno di ogni DMD sono montati dei microspecchi capaci di
oscillare indipendentemente gli uni dagli altri, così da riflettere i
tre colori primari della luce (verde, rosso e blu) e formare sul grande
schermo le immagini cinematografiche. Ogni microspecchio è grande circa
un quarto della sezione di un capello umano. Se si pensa che queste
macchine impiegano matrici la cui risoluzione è di 1920 righe verticali
per 1080 orizzontali pari 2.073.600 pixel (questo standard è detto a 2K
in rapporto alla risoluzione orizzontale, ma sono già in arrivo matrici a
4K pari 3840 x 2048 pixel) è facile concludere che l'immagine chimica
sia già stata surclassata. E invece non è così: il "look and feel" della
proiezione tradizionale risulta ancora superiore a quella digitale in
tutte le proiezioni comparative che sono state effettuate. Le ragioni
sono intrinseche alla proiezione tradizionale e non sono misurabili solo
in termini di definizione pura.Com'è noto, durante la proiezione vengono offerte allo spettatore 24
immagini per secondo. Nella proiezione digitale ogni informazione
dell'immagine ha una posizione costante, essendo generata sempre dallo
stesso pixel, il quale muta continuamente il suo stato. Nell'immagine
chimica, invece, la disposizione dei singoli cristalli di alogenuri di
argento è casuale, sì che le informazioni che si succedono al ritmo di
24 per secondo non hanno una posizione costante: la struttura della
grana, in altri termini, è dinamica, mentre quella della matrice è
statica. Dunque il confronto tra le due forme di acquisizione delle
immagini è molto complesso e non valutabile solo in termini di
risoluzione pura.A ciò si deve aggiungere che non soltanto il cinema digitale sta
compiendo progressi: anche le aziende produttrici delle pellicole stanno
investendo soldi ed energie per proporre al mercato pellicole con un
potere risolvente sempre maggiore. Si pensi che le attuali pellicole da
stampa hanno un potere risolvente doppio a quello che avevano quindici
anni fa. Nello stesso tempo anche i negativi appaiono sempre più
sofisticati e ben al di sopra dei limiti fisici delle ottiche (limiti
che valgono anche le acquisizioni digitali).I proiettori meccanici, infine, pure continuano ad essere oggetto di
migliorie utili all'aumento del contrasto e della definizione: si pensi
alla trazione diretta elettronica per la guida intermittente
dell'alberino di precisione - in luogo della tradizionale
croce di malta
- trazione la quale elimina l'onda di immagine verticale, con
conseguente aumento della stabilità dell'immagine, del contrasto e del
fuoco.Allo stato attuale, dunque, non appare così vicino il giorno in cui
tutti i film siano girati e proiettati con tecniche digitali. Per ora i
due sistemi sembrano, invero, ben collaborare, considerato che
l'elaborazione digitale delle immagini viene adoperata in tutta la fase
intermedia tra l'impressione del negativo e la stampa del positivo da
proiezione (cosiddetta
Digital Intermediate, abbreviato in "DI"). In estrema sintesi, questa è l'attuale lavorazione tipica di un film:
- sul set si provvede alla ripresa delle immagini per mezzo di una cinepresa tradizionale;
- il trasferimento del materiale girato tramite telecinema dei giornalieri avviene come per il procedimento tradizionale
- i negativi originali delle scene scelte vengono scanditi ad alta definizione (2k) per poi essere subito archiviati e conservati;
- tutto il processo di finalizzazione e post-produzione avviene per mezzo di appositi computer dotati di grande potenza di calcolo;
- la sequenza di file risultante viene trasferita su un unico negativo tramite una film recorder;
- il negativo o intermediate così originato viene impiegato per
ottenere gli interpositivi ed internegativi necessari per la produzione
in serie delle copie per proiezione.
In linea teorica, questo sistema potrebbe consentire di ottenere una
copia da proiezione con una risoluzione pari a quella del negativo
originale (4k); tuttavia, considerato che per motivi di costi si
preferisce
scandire
il negativo con una risoluzione pari a 2k, tale ultimo valore è quello
massimo ottenibile dal negativo destinato alla produzione delle
pellicole per la proiezione, le quali avranno, a loro volta, una
risoluzione leggermente inferiore (ogni processo di copia ottica porta
ad una perdita di risoluzione); valore in ogni caso superiore a quello
che si otterrebbe se alla copia finale si arrivasse facendo ricorso a
copie intermedie analogiche.
Verso la fine degli
anni 2000 si assiste all'avvento del cinema in
3D che ha la sua consacrazione in
Avatar di
James Cameron,
film dagli effetti speciali straordinari e promotore di una nuova era
di film in cui tecnologia HD e film sono diventati una cosa sola.
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